Diario d’Albania. Durazzo, la perla dei Balcani


durazzoCon la Missione Pellicano, la ricostruzione è cominciata da qui. Primo porto del Paese per tonnellaggio di merci movimentate, la città è anche un vivace centro turistico che sta riscoprendo il suo patrimonio artistico.

DURAZZO – L’Italia è là davanti, un Occidente raggiungibile in poche ore di traghetto, e il mare è così vasto e luminoso che quasi sembra spingere lo sguardo oltre l’orizzonte, a toccare sponde a noi familiari. Eppure, anche senza guardare a Occidente, si respira un’aria italianeggiante, probabile eredità della lunga dominazione veneziana, che fece di Durazzo il più attivo dei porti balcanici. E forse anche per il traffico che scorre caotico e rumoroso, quasi fossimo in qualche città dell’Italia Meridionale. Al primo impatto, si ha l’impressione di essere giunti in una sorta di gigantesco bazar, intasato di cartelloni pubblicitari e delle grida degli autisti di autobus privati che, nelle vicinanze della stazione ferroviaria, urlano la città di destinazione per informare i potenziali passeggeri. Ma non appena ci si spinge verso il centro, agli occhi dello straniero si rivela una città placida e avvolgente insieme, quasi un romanzo picaresco stretto fra il mare e le colline, che si dispiega, pagina dopo pagina, attraverso le suggestioni di colori che sfavillano al sole, l’odore salmastro del vento che viene dal mare, lo stridio dei gabbiani e il rumore delle gru portuali in manovra.

A Durazzo c’è lavoro per tutti, al porto come negli alberghi, nei ristoranti, e nei numerosi cantieri che costellano la città: strade, piazze, palazzi, la città, come altre dell’Albania, vive una fase di profondo rinnovamento dopo gli anni difficili della transizione democratica. Qui, infatti, sbarcarono i mezzi della Marina Militare Italiana, impegnata nella Missione Pellicano, (16 settembre 1991 – 3 dicembre 1993), nel corso della quale i Battaglioni Logistici Carso e Acqui ebbero il compito di rifornire i magazzini di Stato albanesi con gli aiuti di emergenza inviati dall’Italia, nonché di assicurare l’assistenza sanitaria generica e la distribuzione di farmaci alla popolazione. Bisognava infatti gestire un Paese in piena emergenza umanitaria, e cercare di arginare l’alto tasso d’immigrazione verso l’Italia. Il primo obiettivo fu raggiunto, il secondo no, ma non per responsabilità militari.

Oggi, profondamente rimodernato, il porto di Durazzo non è più la base dell’immigrazione, bensì il terminal principale del Paese; gestito dall’azienda siderurgica turca Kurum per i prossimi 35 anni – sulla base di un accordo siglato con il governo albanese nel febbraio 2013 -, sta registrando una consistente crescita: secondo l’Autorità Portuale di Durazzo, il 2012 si è chiuso superando i 3,5 milioni di tonnellate di merci movimentate, 41mila in più rispetto all’anno precedente.

Purtroppo, nonostante l’indubbio sviluppo economico, il porto di Durazzo resta anche il terminal principale dell’eroina in arrivo dall’Afghanistan, secondo quanto riportato nel marzo 2013 dall’Unodc, l’agenzia Onu contro il traffico di droga e il crimine organizzato che parlò di sequestri per sessanta tonnellate di stupefacenti. Cifre tuttavia in diminuzione, poiché proprio a metà del 2013, l’agenzia ha lanciato un rigoroso programma di perquisizioni dei container in partenza dal porto albanese.

Ma il porto commerciale è soltanto uno dei volti di una città dalla storia millenaria; già colonia greca fondata nel VII Secolo a.C., (dal doppio nome di Epidamnos o Dyrrhachion), in epoca romana la città divenne un importante snodo commerciale e capitale dell’Epirus nova; da qui, infatti, partiva la Via Egnatia, che conduceva a Costantinopoli, ideale proseguimento d’oltremare della Via Appia, che univa Roma a Brindisi. Due antiche colonne, ben conservate, segnano ancora oggi il punto di partenza.

Al momento della divisione dell’Impero Romano, l’Illiria venne assegnata ai Bizantini, ai quali fu tolta dai Normanni nel 1082. Conquistata nel 1205 dai Veneziani di ritorno dalla fallimentare IV crociata, settant’anni dopo passò agli Angiò fino al 1392, quando fu nuovamente conquistata dai Veneziani che la mantennero, con il territorio circostante, fino all’inizio del Cinquecento, chiamando la regione “Albania veneta”.

Della città greca niente rimane dopo oltre due millenni, mentre il monumento più significativo dell’età romana è l’anfiteatro, il più grande dei Balcani, costruito tra il I e il II secolo e capace di contenere 20.000 spettatori. Una missione guidata dalle facoltà di architettura delle Università di Chieti e Pescara si sta occupando del recupero della struttura, al momento disseppellita soltanto per metà. Ma quello che ne è emerso, basta a far sentire il peso dei secoli e a riconsiderare la grandezza di una terra dalla storia antica.

A partire dal VII Secolo d.C., l’arena dell’anfiteatro divenne area di necropoli e sede di culto cristiano: in una delle camere interne, in corrispondenza dell’asse minore fu costruita una piccola basilica, che qui chiamano affettuosamente “delle Tre Bellezze” per i tre mosaici che la impreziosiscono; con la serenità che spira dalle antiche pietre, riporta alla mente il Medioevo leggendario del cattolicesimo dei primordi. Il porto, con la sua febbrile attività, è visibile dalla sommità della collina, ma sembra lontano di secoli. Nei prossimi anni, con il proseguimento degli scavi archeologici, la collina sparirà, e con essa le due vecchie case, risalenti alla fine dell’Ottocento, che vi furono costruite quando ancora non si sospettava l’esistenza dell’anfiteatro sepolto. E forse, sparirà anche un po’ del fascino picaresco di questo angolo fuori dal tempo.

La zona compresa tra l’anfiteatro, il Municipio e la Grande Moschea, coincide con il cuore antico della città; la moschea originale risaliva al primo Cinquecento, all’indomani della conquista turca, ma è stata ricostruita nel 1993 dopo il terremoto del 1979, i cui danni furono aggravati dall’incuria in cui versava l’edificio, dopo la chiusura ordinata da Hoxha. La grande piazza antistante è adesso in fase di completa ristrutturazione, che prevede un nuovo selciato e una nuova illuminazione. Alla dominazione ottomana risale anche la Moschea di Fatih costruita sulle fondamenta di una basilica del medioevo, e che di questa ha mantenute le proporzioni.

Vestigia della dominazione veneziana si ritrovano nelle mura e nelle torri difensive, che racchiudono in parte il cuore antico della città. A poca distanza dalle mura, lungo Rruga Taulantia, si trova il monumento alla memoria di Mujo Ulqinaku, l’eroe nazionale albanese che nel 1939 organizzò la resistenza armata contro l’invasione fascista, e caduto il 7 aprile di quell’anno.

Un’espressione del nazionalismo albanese, che però non si traduce in rancori verso l’Italia, qui ricordata soprattutto per la Missione Pellicano.

Attraversata nei secoli da influenze culturali e politiche molto diverse fra loro, Durazzo è ancora alla ricerca di una sua propria identità, una perla dei Balcani che si sta liberando della patina opaca di mezzo secolo d’incuria e isolamento, fermamente decisa a esprimere le mille sfumature che tante civiltà sovrapposte vi hanno lasciato.

Città portuale di nuovo aperta al mondo, Durazzo punta con decisione sul turismo, che fa registrare cifre interessanti: una stima del 2013 parla di circa 600.000 visitatori all’anno, nel periodo 2008-2012. Per cui, un’ininterrotta catena di alberghi si sta sostituendo a quell’atmosfera vagamente bucolica di quella che fino a venti anni fa era ancora una pineta solitaria in riva al mare, meta di allegri pic-nic estivi per famiglie e torme di ragazzini, cui la durezza della vita di regime concedeva ben pochi svaghi. Dopo l’ultima crisi istituzionale del 1997, e il definitivo affermarsi del regime democratico, anche l’economia ha conosciuta una prima fase di assetto in senso capitalista, e, come accaduto in tante altre parti d’Europa, l’edilizia selvaggia della speculazione si è abbattuta sulla città. La pineta è rapidamente sparita, inghiottita da alberghi e condomini, costruiti fin quasi sul bordo del mare. Soltanto la zona della passeggiata pedonale lascia libera la vista sull’Adriatico. E il mare, in questa luce invernale, è uno spettacolo affascinante che un po’ contrasta con l’animazione che regna in città, e assiste silenzioso a quella prosperità economica che non si è fatta attendere, anche grazie agli investimenti di chi è rientrato in patria dopo anni di lavoro all’estero.

Nonostante la forte antropizzazione, il lungomare di Durazzo ha un aspetto piacevole, “occidentale”, sottilmente ambizioso, e regala scorci inaspettati, quasi fossimo in una piccola Long Beach, anche se meno pacchiana. Ma basta perdersi in una qualsiasi stradina più interna, per ritrovare silenzi che sanno di poesia arcaica, piacevolmente mischiata al richiamo del muezzin.

Il tramonto sul mare regala sfumature di struggente bellezza, che scivolano sulla città come un mantello sulle spalle di una dama, e nella luce soffusa quest’angolo d’Europa Orientale sprigiona indefinibili sensazioni in bilico fra desiderio di terre lontane e nostalgia.

Niccolò Lucarelli

Fonte: nove.firenze.it

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